Proto-indoeuropeo in Alien Prometheus

Androide parla con Xenomorfo

Erano gli anni dell’università (1999 o giù di lì), stavo alla casa dello studente e non potevo permettermi la classica televisione 14 pollici con VHS integrato (il Medioevo, direte voi).
Uscivamo dalla mensa universitaria e con il buon vecchio Renzo veniva fuori la proposta: «Ci noleggiamo un film?».
20:45 inquadratura all’interno del videonoleggio in via Liguria, sezione fantascienza. Uno studente di ingegneria raccoglie una custodia e la porge allo studente di filosofia: «Che dici, ricominciamo Alien?».
20:55 casa dello studente di via Trentino. Si firmavano le carte per prendere in consegna la sala conferenze, dove era presente un televisore a tubo catodico da 24 pollici e un videoregistratore.
21:00 i due studenti hanno a disposizione una sala da 340 posti, buia e silenziosa. Comincia la proiezione.
Fa strano che ora, spiegando i principi della linguistica a scuola, quando parlo dell’indoeuropeo citi sempre uno dei capitoli di Alien: Prometheus.

Trama, ma solo quello che serve

Anno 2089: sei un’archeologa che scopre in una grotta in Scozia dei graffiti che mostrano una mappa stellare. Grazie a un vecchio mecenate parti per il pianeta LV-223 in compagnia di altri studiosi e di un androide. La spedizione Weyland cerca i “creatori” dell’umanità.
Mentre tu e il resto dell’equipaggio vi fate un pisolino criogenico, l’androide David studia lingue antiche, fra cui il proto-indoeuropeo (Ridley Scott, il regista, ha chiesto aiuto a un docente universitario di fama internazionale).
Alla fine si arriva sul pianeta LV-223; fra mille avversità si trova un individuo della specie di “ingegneri” che ha portato la vita sulla Terra. Comincia il dialogo con l’alieno e, diciamo, non finisce a tarallucci e vino.

L’idea che lavora qui

Costantemente ci chiediamo se siamo soli nell’universo. In alcuni casi siamo talmente prudenti da sperare che, se non fossimo soli, sarebbe più saggio passare inosservati ad altre specie intelligenti (ammesso che noi possiamo definirci tali).
Ma, ipotizzando di poter incontrare un’altra forma di vita senziente, come facciamo a intenderci e a non essere fraintesi?

Chiusura

Ci poniamo il dubbio di come cominciare con gli alieni, dimenticando che riusciamo a malapena a comunicare fra di noi.
Modifichiamo la respirazione, ragioniamo per mettere in ordine i concetti, utilizziamo un centinaio di muscoli per emettere suoni che devono essere recepiti e interpretati; e poi ci sono tutti i messaggi paraverbali che ancora non abbiamo preso in considerazione. Se l’ambiente è silenzioso e il nostro interlocutore è attento, non abbiamo comunque la certezza di essere capiti.
Per essere fraintesi non c’è bisogno di scomodare i viaggi stellari.

Dati & contesto

  • Film: Prometheus (Ridley Scott, 2012).

  • Consulenza: Dr. Anil Biltoo (SOAS) ha curato la parte linguistica e appare nel film come insegnante; in interviste ha chiarito contenuti e intento del dialogo.

  • Nota filologica: Il proto-indoeuropeo nel film è una realizzazione costruita per esigenze drammaturgiche; la favola di Schleicher è un esperimento didattico del 1868, spesso citato in divulgazione.

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